Nel 2025, il tempo medio trascorso sui social ha superato le 2 ore e 21 minuti al giorno a livello globale (Smart Insights), mentre più del 63,9% della popolazione mondiale è attiva sui social network. Numeri impressionanti, vero? Ma dietro questi dati si nasconde una trappola: confondere la quantità di tempo online con la qualità della comunicazione.
Oggi aprire un profilo social e pubblicare contenuti è facile, immediato, alla portata di chiunque. Ma come dimostrano anche le ricerche di Sprout Social, le aziende pubblicano in media 9,5 post al giorno, contribuendo a un flusso di messaggi che più spesso distrae il pubblico anziché coinvolgerlo. La vera sfida, quindi, non è esserci: è contare davvero. Ma questa presenza così diffusa è davvero utile, o sta solo aggiungendo rumore?
Il falso mito della presenza ovunque
“Essere ovunque” è uno degli slogan più diffusi nel marketing digitale: suona bene nei pitch, rassicura chi teme di restare indietro e sembra la soluzione definitiva. Ma senza un vero senso dietro, questa corsa alla presenza totale diventa un boomerang.
La realtà è che riempire ogni piattaforma con contenuti generici porta a un ecosistema saturo di messaggi indistinti. Oggi creare un profilo su un nuovo social richiede pochi minuti, e lo stesso vale per pubblicare video, post o stories. Così le aziende finiscono per moltiplicare i canali, spesso senza una strategia coerente, solo per non “mancare” da nessuna parte.
Un’azienda può trovarsi con sei o sette profili attivi – Facebook, Instagram, LinkedIn, TikTok, Twitter, YouTube – solo per scoprire che le interazioni arrivano sempre dagli stessi canali. Eppure continua a disperdere tempo e budget per tenere in vita anche quelli che non portano risultati, spinta dalla FOMO (Fear of Missing Out) che non colpisce solo i consumatori, ma anche chi comunica.
Più piattaforme significano più complessità: ogni social ha regole, algoritmi e pubblici diversi. Senza un piano chiaro, il rischio è creare contenuti privi di personalità, buoni per tutto e quindi efficaci per niente. È come voler parlare tutte le lingue del mondo senza impararne davvero nessuna.
A ciò si aggiungono i costi nascosti: budget per sponsorizzazioni, tempo per creare e moderare contenuti, energie per analizzare metriche spesso irrilevanti. Più canali significano più occasioni di incoerenza e più fatica per un messaggio che, senza strategia, rischia di diventare solo rumore.
Meglio essere presenti ovunque in modo irrilevante o concentrarsi dove puoi fare davvero la differenza? Meglio pubblicare ogni giorno su dieci piattaforme o scegliere uno o due canali in cui il pubblico è davvero in ascolto? La ricerca ci dice che in un ambiente sovraccarico, la capacità di attenzione non cresce con l’aumento dei contenuti, ma si frammenta. Ogni nuovo post rischia di sottrarre attenzione e significato a quello precedente, creando un rumore di fondo dove tutto si somiglia e nulla resta davvero impresso.
Una strategia digitale non deve consistere nel marcare il territorio come un gioco di Risiko, ma nel capire dove il tuo messaggio può davvero ottenere attenzione e risonanza, trasformando la comunicazione da semplice presenza a creazione di connessioni significative. Secondo dati recenti di Hootsuite, ogni giorno vengono pubblicati oltre 95 milioni di post su Instagram e 500 milioni di tweet su X (ex Twitter): un flusso costante che rende ancora più cruciale distinguersi. Un piano editoriale basato solo sulla frequenza rischia di trasformarsi in un’illusione di progresso: si produce molto, ma non si comunica davvero, e intanto la percezione del brand si appiattisce. La timeline, come un fiume in piena, richiede argini: spazi di senso dove ogni contenuto abbia un motivo preciso e un messaggio capace di emergere. Perché un solo contenuto rilevante vale più di cento post irrilevanti.
Essere rilevanti: l’unica presenza che conta
Alla fine, la presenza online non vale nulla senza rilevanza. Puoi riempire i feed, investire in advertising su ogni piattaforma, ma se non hai un messaggio autentico, non lascerai traccia. La vera sfida non è essere visti, ma essere ricordati per ciò che si ha davvero da dire: un punto di vista, un’idea, una chiave di lettura che ti renda unico. La memoria del pubblico si attiva solo quando le tue parole risuonano con i suoi valori e bisogni, quando riconosce che sei “quello che dice quella cosa” e non uno dei tanti che ripetono gli stessi slogan. Non serve parlare di tutto: serve concentrarsi su ciò che conta, in modo onesto e coerente. Non serve essere ovunque: serve costruire spazi, anche piccoli, dove il tuo messaggio abbia senso e crei legami autentici.
La rilevanza nasce dalla capacità di fare scelte consapevoli e di avere qualcosa di significativo da dire: dire “questo siamo noi, questo no”, raccontare chi sei attraverso storie vere, condividere idee che rivelano la tua identità, non slogan vuoti. Significa mantenere coerenza tra ciò che prometti e ciò che mostri ogni giorno, anche quando nessuno sta guardando. Perché la storia che racconti – quella che vivi davvero – resta. E se quella è forte, il resto si riconosce da solo. Anche senza dire il nome. E alla fine, questa è l’unica presenza che conta davvero: essere rilevanti, prima che visibili. Essere autentici, prima che onnipresenti.